Un angolo di Spagna a Messina
“Tutto qui ricorda la sua antica origine pagana e le corse vicende [...]”, si legge nella Guida del Municipio “Messina e dintorni” stampata nel 1902, sei anni prima dell’immane disastro. La chiesa dei Catalani è infatti un luogo metafisico della storia, un’apparizione evocativa di antiche suggestioni più che la presenza fisica di una splendida architettura di pietra dove tuniche, sai, cappe e mantelli di uomini pii e timorati di Dio, si avvicendarono sotto le superbe volte e arcate.
Venne edificata dal 1150 al 1200 sugli avanzi del tempio di epoca classica dedicato a Nettuno. Denominata anche “Annunziata di Castellammare” per la sua vicinanza all’omonima fortezza ubicata a guardia dell’insenatura del porto, nel secolo XIII fu accorciata con arretramento della facciata, probabilmente a seguito di un terremoto e sulla nuova parete vennero inseriti i tre portali. Nel 1270 fu affidata ai padri Domenicani, quindi, ad una congregazione di mercanti catalani sotto il regno aragonese. Restaurata in epoca aragonese ed elevata al rango di Cappella Reale, veniva assegnata dai re, che si succedevano di volta in volta, a persone di loro gradimento. A seguito del terremoto del 1783 che aveva distrutto la chiesa di S. Nicolò all’Arcivescovado, venne elevata a parrocchia. L’altro sisma del 28 dicembre 1908 la risparmiò e facendo crollare tutte le superfetazioni di epoca barocca e i corpi di fabbrica addossati all’esterno del settore absidale, riportò alla luce le primitive strutture architettoniche. Dal 1926 al 1932 si procedette ai lavori di restauro e consolidamento statico ad opera del Soprintendente ai Monumenti, il palermitano arch. Francesco Valenti.
Il piano di calpestìo della chiesa e quello del cortile circostante sono alla quota della città antica, quota che si è andata via via sollevando per le continue alluvioni, straripamenti torrentizi ed accumulo di macerie causate dai terremoti: la stessa antica quota è riscontrabile nella chiesa di S. Maria degli Alemanni.
A tre navate, tre absidi e cupola innestata sul transetto, la chiesa è dotata di “colatoi” e “camera mortuaria” ipogei per le sepolture. Nel settore absidale esterno sono riproposte suggestioni decorative bizantine con una fascia di pietra bicolore alternata, che sottolinea lo svolgersi dell’elegante loggiato cieco punteggiato da esilissime colonnine e ricoprente tutto il settore per poi ripetersi sul tamburo della cupola. Tale sistema compositivo si rifà a modelli del romanico pugliese, lombardo e pisano. Delle tre absidi, solo quella centrale emerge all’esterno, restando incluse dentro lo spessore murario le altre due laterali per conferire ai volumi uno stereometrico e cristallino risalto. All’interno, le colonne rincassate dell’abside maggiore e alcuni capitelli testimoniano dell’influenza araba; di quella arabo-bizantina nella cordonatura dell’arco trionfale e di quella normanno-lombarda le strette ed alte finestre delle navate e della cupola. Tutto ciò conduce ad un eclettismo architettonico che caratterizza la chiesa dei Catalani nella sua diversità da altri monumenti normanni dell’Italia meridionale: in essa si condensano culture latine, bizantine ed arabe.
I pregevoli dipinti dell’”Immacolata” di Tommaso Montella (1606) e della “Vergine Maria Annunziata con Santa Eulalia, protettrice della città di Barcellona”, che Giovanni d’Anglia eseguì nel 1497, furono trasferiti dopo il sisma al Museo Regionale. Quello dell’”Immacolata” è stato restituito alla chiesa. Di particolare pregio è il “Crocifisso” ligneo (sec. XV) sull’altare maggiore. L’icona bizantina con la “Madonna della Scala” ricoperta da manta d’argento e d’oro, ha una storia particolare che risale al 1167. In quell’anno, nel porto di Messina si era alla fonda una nave levantina. Nascosta nella stiva c’era una tavola in legno dipinta alla maniera delle icone bizantine con il mezzo busto della Madonna e una scala nella mano, simbolo dell’ascensione al cielo, che i marinai avevano trafugato in Siria. Quando si terminò di scaricare la mercanzia, la nave non riuscì a prendere il largo e allora fu deciso di sbarcare il dipinto a terra. Mentre la nave ripartiva, l’icona fu messa su un carro tirato da buoi senza guida che percorse la fiumara di San Leone (attuale viale Giostra) per fermarsi davanti alla chiesa normanna di S. Maria della Valle che, da quel momento, cambiò il nome in S. Maria della Scala.
(Foto di Roberto Principato)