Splendore barocco
Lusso e devozione; “horror vacui” e fantasmagorie di stucchi e decorazioni; peste ed ex-voto di riconoscenza “per grazia ricevuta”; rito religioso e teatralità barocca: la chiesa di S. Elia racconta tutto questo al visitatore che abbia la voglia e la curiosità di squarciare i suoi arcani silenzi e penetrare nei suoi segreti, attraverso le brume del tempo divoratore.
“[...] per la dirittura verso San Hieronimo, si vede il monistero di S. Helia viventi sotto alla regola di S. Francesco di Paola – scrive Giuseppe Buonfiglio nel 1606 – fondato pochi anni poi dalla fondatione de’ Frati dell’istessa osservanza nomati Minimi; e la Chiesa di questo monistero è assai più antica, e fù fraterna de’ disciplinanti”. Nel 1638 le monache francescane passarono sotto la regola degli Eremitani di S. Agostino e la chiesa fu, nel 1694, abbellita e ingrandita. Il sisma del 5 febbraio 1783 causava la distruzione quasi totale degli affreschi sulla volta, eseguiti dai fratelli Filocamo agli inizi del ‘700. A ciò si aggiungevano i danni provocati dai bombardamenti durante la rivolta antiborbonica del 1848. La chiesa veniva così restaurata, su incarico delle monache, dal pittore Giacomo Grasso nel 1857 che dipinse per intero la volta raffigurando S. Elia che va in Cielo sul carro di fuoco. L’edificio fu riaperto al culto nel 1859 ma nel 1866 il monastero fu confiscato e convertito in caserma delle Guardie di Finanza; il sisma del 1908 fece crollare una parte del tetto adiacente alla facciata e i bombardamenti del Secondo conflitto mondiale produssero ulteriori danni.
Imperversando la peste a Messina, nel 1743, il Senato elesse S. Elia copatrono della città, insieme alla Madonna della Lettera, implorandone la santa protezione contro il dilagare della pestilenza. In tale circostanza, venne presa la decisione di offrire ogni anno, il 27 luglio, due monumentali ceri votivi pesanti venti chili ciascuno, con la solenne partecipazione alla Messa.
La facciata conserva il pregevole portale del 1694 in cui, l’ignoto autore, dimostrò di avere ben assimilato la grande lezione dell’architetto modenese Guarino Guarini (1624-1683) – autore a Messina di ben tre chiese - e molto simile a quello che il dotto monaco teatino realizzò nel suo Palazzo Carignano a Torino. Le importanti pale d’altare dipinte ad olio dai Filocamo nel sec. XVIII, l’”Ultima Cena”, la “Crocifissione”, “S. Agostino” e “San Francesco di Paola”, già restaurate nel 1857 da Giacomo Grasso, dopo il terremoto sono stati trasferiti al Museo Regionale. Oggi la Chiesa di S. Elia custodisce i dipinti la “Madonna del Bosco” e l’”Immacolata” di Michele Amoroso (1882-1970), il “Sacro Cuore di Gesù” (1956) di Giuseppe Russo e “S. Elia” di Sarah Cerreti. L’acquasantiera marmorea è del sec. XVIII mentre l’altare laterale proveniente dalla distrutta chiesa di S. Liberale, con bassorilievo nel paliotto raffigurante la Madonna della Lettera Patrona di Messina, è del 1794. Interessanti, per la loro tipologia, due statue lignee policrome settecentesche raffiguranti San Benedetto, fondatore dell’Ordine dei Benedettini, e la sorella Santa Scolastica.
L’interno è un tripudio di decorazioni a stucco, esplosiva e fortemente plastica decorazione che proseguiva e portava alle estreme conseguenze nel 1694, anno in cui veniva realizzata, quell’incisiva corrente decorativa derivata dall’arte dell’architetto bergamasco Cosimo Fanzago. Arte suggestiva e virtuosistica, introdotta a Messina dal fiorentino Innocenzo Mangani nel 1653 e da Andrea Gallo nel 1657, che si svilupperà e manterrà per tutto il Seicento e parte del Settecento. La Guida “Messina e dintorni” (1902) così descrive questa decorazione: “[...] ricca è la decorazione barocca e di buon gusto, che con colonne, capitelli, ornati, scudi, festoni e puttini intrecciati in un complesso artistico e pieno di brio, indorati per un terzo a zecchino, copre profusamente le pareti, l’abside ed il soffitto e talmente da farne un buon modello di arte del secolo XVIII”. Intimamente legati agli stucchi sono gli affreschi raffiguranti la “Natività,” l’”Adorazione dei Magi”, “Gesù Bambino nel Tempio”, il “Battesimo di Cristo”, “Mosè che fa scaturire l’acqua” e “David che suona l’arpa”, opere dei fratelli messinesi Antonio, Gaetano e Paolo Filocamo (Tutti e tre morti di peste nel 1743) realizzate nel 1706.