
Il cibo “on the road” della tradizione messinese
La celeberrima “Pagnotta alla Disgraziata” che da oltre 60 anni rappresenta il “cibo di strada” cult di tutta la Città Metropolitana di Messina è un piatto tipico, inserito nella Guida Michelin e nella Guida del Touring Club Italiano, che è stato dichiarato nel 2003, per decreto del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali , “Prodotto Tradizionale Nazionale”.
Si tratta di una ruota di pane, la pagnotta, di farina di frumento che viene condita con olive schiacciate, melanzane sott’olio, carciofini sott’olio, pomodori secchi, pecorino pepato, salame nostrale, alloro, finocchietto selvatico, aglio, origano, qualche cappero e, soprattutto, con una buona dose di peperoncino rosso piccante che giustifica ampiamente il suo nome, “Disgraziata”!
Il sito più caratteristico dove si può consumare è la “Casa di Cura Don Minico” storico locale sui Colli Sarrizzo presso le “Quattrostrade” a Messina.
Più di strada di così si muore: il Tajuni, infatti, si cucina dagli ambulanti in grigliate allestite all’aperto per le vie cittadine spargendo l’inconfondibile e inebriante odore che funge anche da guida. Si tratta di interiora di vitello arrostite in diretta e a cui assistono gli stessi consumatori, da mangiare in strada con sale e limone e irrorata da vino rosso o dalla “menza bira” (mezza birra, come si dice a Messina). Il nome Tajuni o “Daiuni” deriva da “digiuno”, trattandosi appunto dell’ultimo tratto dell’intestino bovino e uno storico protagonista dello street food messinese fu Salvatore Vento, meglio noto come “Lulli”, con il suo banchetto di via Catania nei pressi del Cimitero Monumentale.
Virina (mammelle di mucca) deriva dal latino "uberina" (quanto è riferito alla mammella) o anche dallo spagnolo "ubre" (mammella) che a sua volta deriva dal latino equivalente "ùber". Ciò potrebbe essere un indizio per far risalire questo cibo al periodo della dominazione spagnola in Sicilia. È un piatto di strada che si prepara nelle griglie ambulanti tagliando le mammelle della mucca e arrostendole.
Piatto tipico della cucina siciliana di antica origine greca, preparato e servito per strada dallo “stigghiularu”, ha come ingrediente principale le budella di agnello (ma anche capretto o vitello). Ha avuto il riconoscimento ufficiale con l’inserimento nella lista dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani (PAT) del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ma, un tempo, era conosciuta come piatto unico della cucina dei poveri. Si prepara dopo aver lavato le budella con acqua e strofinate col sale per sgrassarle, condite con prezzemolo e cipolla, arrotolate su un porro e cotte direttamente sulla brace fino a diventare quasi abbrustolite.
Il “Sangunazzu” (sanguinaccio) è composto da un budello di maiale riempito di sangue animale (generalmente di maiale), bollito in maniera da condensare il sangue e, poi, messo a freddare con cacao o senza, condito con spezie. Anticamente, i venditori ambulanti di “Sangunazzu” giravano per le strade accompagnati da un garzone che li aiutava nel reggere un grosso pentolone. Alla loro “banniata” (grida) i compratori accorrevano con un piatto fondo o un pentolino e ne compravano un “caddozzu” (un insaccato). “Lu sangunazzu è nu nzaccatu cumpostu di sangu, grassu e a li voti ciriveddu di maiali nzapuriti cu sali e spezzi” (Il sanguinaccio è un budello di maiale composto di sangue, grasso e a volte il cervello di maiale insaporito con sale e pepe)