

La cucina messinese
Agli arabi, che dominarono la Sicilia dall’827 al 1091, dobbiamo il contrasto tra i sapori che si esalta nell’agrodolce ma che si riscontra anche nell’impiego di uvette e pinoli come il “falso magro al ragù”.
Piatto tipico di area messinese, viene consumato prevalentemente in due periodi particolari: quando è consentita la caccia a quello selvatico (fra ottobre e gli inizi di dicembre) e all’inizio del periodo primaverile, in occasione delle festività pasquali. Animale fortemente simbolico, il coniglio con la sua proverbiale prolificità venne accostato alla rinascita e Sant’Ambrogio ne fece un simbolo della Resurrezione poiché il suo pelo cambia di colore con l’avvicendamento delle stagioni. La preparazione del “Coniglio in agrodolce” a Messina, detto nell’Isola anche alla “stimpirata” per la sua cottura nella salsa in agrodolce, richiede pomodori maturi, aceto bianco, aglio, cipolla, scorza di limone, alloro, coniglio pulito e tagliato a pezzetti, cuore di sedano, basilico, origano, olio extra vergine d’oliva, zucchero, sale e pepe. In altre località siciliane si aggiungono olive bianche, pinoli e uva passa.
Il “Falsomagro” (in dialetto farsu magru) è costituito da una fetta di carne di manzo che viene farcita con un particolare ripieno, arrotolata e poi cotta in padella. Mai titolo di questo piatto fu così appropriato perché, di magro, non ha proprio niente (appunto, “falso”). Introdotto in Sicilia dai francesi perché risale alla dominazione nell’Isola degli Angioini nel XIII secolo, secondo un’interpretazione il nome deriva dal francese "farce", cioè farcia, ripieno, che col passare dei secoli si è trasformato in “farsi”, quindi “farsu” col nome poi completo di “farsu magru”, cioè carne magra farcita. Un’altra versione, sempre ricondotta all’origine francese, vuole che in origine si chiamasse “farce maigre", cioè un ripieno magro che è poi è diventato tutt’altro, polpa di manzo tritata, mollica di pane raffermo, caciocavallo o pecorino, mortadella a fette, salame a fette, pomodoro passato, uova sode a fette, cipolla, carota lessata, prezzemolo, pinoli, uvetta, vino rosso o marsala secco, olio extravergine di oliva, zucchero, sale e pepe.
Il nome dialettale di “Brusciulune”, a Messina, si riferisce al modo di avvolgere la fetta di carne legata con corde sottili nella forma, appunto, di un salame (“brusciuluni”). Si tratta di un polpettone farcito che viene servito tagliato a fette come secondo piatto o come piatto unico. Polpettone perché accrescitivo della piccola polpetta che, a sua volta, compare la prima volta in un ricettario compilato nella metà del XV secolo da tale Mastro Martino. Per realizzare il “Brusciulune” occorre una fetta di carne di manzo da riempire con pecorino, pancetta, passata di pomodoro, uova sode, cipollotti, olio extra vergine di oliva e pepe nero.
Ai francesi dobbiamo l’ingresso ufficiale della cipolla stracotta, nei condimenti e nei sughi, in sostituzione dell’aglio, fino a quel momento assai diffuso. L’esempio più vistoso è l’”agglassato” o “aggrassato”, un piatto di carne ormai tipico della tradizione messinese. L’”Agnello aggrassato”, infatti, è un piatto che si prepara in umido, una specie di spezzatino con patate il cui sfarinarsi contribuisce a rendere l’effetto denso dell’“aggrassato”. Nato come piatto tipico delle festività pasquali, è oggi cucinato tutto l’anno. All’agnello a pezzi da rosolare in un tegame, si aggiungono patate, pomodori maturi, una grossa cipolla, una foglia di alloro, prezzemolo, marsala secco, olio extra vergine d’oliva, sale e pepe.
Rinomatissime a Messina nelle trattorie non più esistenti di Costa e Don Mommo ma comunque egregiamente cucinate oggi in tutti i ristoranti del suo territorio, le “Braciole alla messinese” (più prosaicamente, involtini) sono un tipico secondo piatto a base di carne di manzo. Le fettine chiamate a Messina "a braciola" per il particolare taglio di carne, il magatello, cioè la parte pregiata della coscia del manzo priva di nervi, dopo essere bagnate vengono cosparse di pangrattato precedentemente abbrustolito, aglio, prezzemolo e pecorino (o formaggio a pasta filata). Sono, quindi, arrotolate a formare cilindretti, infilzati in sottili bastoncini di legno a gruppi di 5 o di 7 con una seconda panatura e cotte in padella o, preferibilmente, alla brace sulla griglia.
La Carne al forno (in dialetto, “Canni 'nfunnata”), classico della cucina popolare messinese diffusa in tutta la Sicilia, molto antica e presente immancabilmente nei banchetti, è diventata sinonimo di convivialità e di festa. Piatto dei mesi estivi, può essere di carne di agnello o vitello la cui cottura avviene rigorosamente in un forno di mattoni refrattari. Portato alla giusta temperatura, dal forno si toglie la brace, si pulisce con una scopa di fascina e vi si adagiano “ciaramiti” (tegole) di terra cotta dove viene stesa la carne insipida e senza aromatizzazione. Lasciata cuocere per circa 6 ore con il portello del forno sigillato, diventa morbida al palato. Si insaporisce con sale e si serve con contorno di patate al forno
Detto anche “Sciusceddu”, il “Ciusceddu” deriva il nome dal latino “Juscellum” (minestra, zuppa), piatto della cucina romana antica che si trova nel ricettario romano di Apicio, scritto probabilmente alla fine del IV o all’inizio del V secolo. Potrebbe, anche, derivare dal francese souffler, da cui soufflé. Si tratta di un piatto tipicamente messinese, delicato e saporito e tradizionalmente preparato per il pranzo pasquale, piccole polpettine di carne tritata cotte in brodo e quindi ricoperte da un impasto cremoso di ricotta, formaggio e uova. Quest’ultimo, col calore del forno, formerà all’esterno una crosta croccante. Gli ingredienti sono, per le polpettine, carne tritata, pangrattato, prezzemolo, uova, formaggio grattugiato, brodo preferibilmente di pollo. Per la cosiddetta “conza” da stendere a ricoprire il tutto, uova, ricotta, formaggio maiorchino grattugiato, sale e pepe.