

Luogo dello Spirito senza tempo
Un gioiello di architettura del V – VI secolo dopo Cristo è giunto prodigiosamente a noi a Rometta, un gioiello che invita alla meditazione, alla riflessione in comunione col divino.
Comunemente intesa Santissimo Salvatore, la dedica originaria è Santa Maria dei Cerei o Santa Maria della Candeolora, edificata nel V-VI secolo. Le più antiche informazioni si devono al catanese Vito Maria Amico che nel suo “Dizionario Topografico della Sicilia” stampato a Palermo nel 1757-1760, menzionava una chiesa dedicata a Santa Maria dei Cerei sita vicino la “Porta Borbonia”, “[…] volgarmente della Candelora, la quale grecamente costruita, si appella sin’ora badia antica; da quello si raccolsero le monache in Messina e fabbricarono il monastero di S. Maria di Basicò, dove oggi dimorano; ma non si sono aboliti nella nostra chiesa il culto divino ed il costume di distribuire al popolo le candele nel secondo giorno di febbraro.”. Dal 1320 al 1342, infatti, con approvazione del pontefice, le monache vi si trasferirono per loro sicurezza durante i tumulti seguiti ai Vespri Siciliani. La sua funzione originaria, quasi certamente, era quella di Battistero per divenire poi chiesa nel periodo fra i secoli XII e XIII. Degli affreschi, rimangono frammenti quali una Madonna col Bambino e delle lettere in greco. Conserva un dipinto, il Trionfo della Croce, di ignoto degli inizi del sec. XVII.
<p><em>Il numero 8 presente nella simbologia della Chiesa-Battistero è anche il numero complessivo dell’universo e del rapporto fra Dio e creato, dal momento che esso è la somma dei tre numeri-cardine, 1 (Unità), 3 (Trinità) e 4 (materia, gli elementi acqua, fuoco, aria, terra).</em></p>
A pianta di croce greca inscritta in un quadrato con tamburo ottagonale e cupola coperta all’esterno da tre gradoni, per le caratteristiche formali e costruttive è da collocare in ambito tardo-romano o paleo bizantino, origini che sono state ipotizzate dagli studiosi con funzioni di battistero, terme romane o martyrium (S. Giglio, M. Lo Curzio, C. Perogalli, R. Santoro, A. Di Bennardo). Che non fosse in origine una chiesa è testimoniato dall’orientamento che, contrariamente alla liturgia di allora, è ad ovest e dalla mancanza di absidi e locali adibiti a Prothesis (a sinistra, dove si preparava il Sacrificio Divino) e Diaconicon (a destra, dove si custodivano paramenti e oggetti sacri). Uno stravolgimento, dunque, testimoniato anche dalla presenza sul lato ad est di 3 ingressi e di avanzi di un esonartece scoperti dall’archeologo Giacomo Scibona verso il 1950. Alcune campagne di indagini condotte nel 2010 con analisi georadar e saggi e nel biennio 2016-17, dirette ed elaborate dall’arch. Filippo Imbesi, effettuate dall’Associazione “SiciliAntica”, hanno portato all’individuazione di un canale rettangolare interno che contribuisce a rafforzare l’ipotesi di un utilizzo a Battistero.
La Chiesa-Battistero del San Salvatore o di Santa Maria dei Cerei è permeata di simbologia cristiana e teologica. Dalla pianta quadrata si passa all’ottagono del tamburo e quindi al cerchio della cupola: il quadrato rappresenta l’umanità e la materia; il tamburo ottagonale è la perfezione di Dio, la Resurrezione; il cerchio è l’eternità, lo Spirito. Il numero 8 dell’ottagono è simbolo di perfezione perché somma dei 7 giorni della creazione e dell’”ottavo”, quello della Resurrezione di Cristo. E il numero 8 fu importante nell’arte cristiana per il suo significato come scrive Sant’Ambrogio nel IV secolo: “… era giusto che l’aula del Sacro Battistero avesse otto lati, perché ai popoli venne concessa la vera salvezza quando, all’alba dell’ottavo giorno, Cristo risorse dalla morte”. L’architetto Filippo Imbesi, nelle sue dimensioni, vi ha rilevato la presenza dell’unità di misura detta “piede bizantino” (oscillante tra 0,308 e 0,315 metri). Questa unità dimensionale si evidenzia nella larghezza dei prospetti (m 14,49), corrispondente a 46 piedi bizantini. Il richiamo è quello al numero sacro 46 con cui si indicava gli anni impiegati per costruire il tempio di Gerusalemme in Giovanni 2,19-23.