Andar per Castelli nei Peloritani

Fra Storia, Leggenda e Curiosità

Andar per Castelli nei Peloritani

San Marco d’Alunzio

Nel 1061, quando i Normanni occuparono il territorio ribattezzandolo San Marco Roberto il Guiscardo, su una precedente fortificazione probabilmente bizantina in sito elevato, vi fece costruire un grande castello ben difeso e fortificato ai piedi del quale si sviluppò l’abitato. Dal 1090 al 1112 fu residenza degli Altavilla, in particolare di Adelasia, moglie del Gran Conte Ruggero e madre e reggente di Ruggero II, come dimostrato da diverse pergamene. Oggi, del Castello, rimangono imponenti e suggestivi ruderi che si elevano in una grande piazza sede di eventi culturali e della Giornata Medievale.

Novara di Sicilia

Il Castello sorge nell’827 ad opera degli arabi e diventa il nuovo centro della vita civile sostituendo quello di contrada Casalini, abitato fino a tutta l'epoca bizantina. Nel 1061-1072 si insedia a Novara di Sicilia una colonia di lombardi, aleramici, di religione cattolica di rito latino al seguito del Gran Conte Ruggero I d’Altavilla nel contesto della riconquista dell'isola. Nel 1298 l'abitato di Novara è censito come Castrum Nucariae con riferimento diretto al Castello e in epoca svevo-aragonese è riedificata una struttura fortificata per opera di Ruggero di Lauria, Grande ammiraglio della Marina Reale, per concessione di Pietro III d’Aragona. Oggi, del Castello, rimangono pochi ruderi.

Castroreale

Nel 1324, col Privilegium Regis, Federico III d’Aragona premiò Castroreale per essergli stata fedele nel corso della guerra contro gli Angioini e promosse, perciò, la ricostruzione di un "castrum seu fortilicium concedendo al contempo privilegi e agevolazioni. Nel 1330 circa il Castello dovette essere ultimato e al toponimo di Castro fu aggiunto l'appellativo Reale. La nuova denominazione indicò, così, che il Borgo era uno delle "domus solaciorum" regie, cioè il luogo dove effettuare lunghe battute di caccia fra gli ozii, i sollazzi e i diletti del sovrano, alla stessa stregua dell'avo Federico II di Svevia. Assediato nel 1535, il Castello resistette validamente all’assalto delle ammutinate truppe spagnole della Goletta nel corso della contesa ottomana di Tunisi consentendo al viceré Garcìa Alvarez de Toledo y Osorio di soffocare la rivolta. Tommaso Fazello, nel 1558, lo descrisse come Castello molto grande ubicato su una rupe precipite e durante la rivolta antispagnola di Messina del 1674-78 fu importante presidio per la sua posizione strategica. Nel 1750 circa Vito Amico lo descrisse come “rocca di figura orbicolare con preposte fortificazioni” e nel 1860 fu teatro di alcune azioni militari fra Borboni e Garibaldini prima della battaglia di Milazzo del 20 luglio. Sarà poi destinato a carcere mandamentale nel 1875 circa. Un’antica tradizione vuole che sia sorto sulle rovine dell’antica città greca di Artemisio, di cui parlano le fonti classiche. Del Castello rimane l’imponente torre (mastio, maschio o dongione) che si eleva per 9 metri circa, con un diametro di 7 metri circa e si articola su due livelli indipendenti tra loro: il superiore è coperto da una volta a crociera con quattro costoloni spiccati da semplici mensole, quello inferiore volta emisferica.  La muratura, mediamente spessa 2 metri, è formata da pietrame d’arenaria listato da laterizi di assestamento disposti a filari regolari.

Venetico

Edificato verso la seconda metà del ‘400 dalla famiglia Spadafora, fu gravemente danneggiato dal terremoto del 28 dicembre 1908. Venne restaurato nel 1920 e nel 1958-60 dai discendenti Samonà che ne fecero la loro residenza estiva fino al 1969. A pianta quadrata con gli spigoli rinforzati da torrioni cilindrici scarpati alla base e dotato di Cappella, sorge in cima ad una collina che domina il sottostante Borgo.

Rometta

Nel 1150 Muhammad al-Idrisi, geografo e viaggiatore arabo invitato da re Ruggero II alla sua corte a Palermo dove realizzò una raccolta di carte geografiche note con il titolo "Il libro di piacevoli viaggi in terre lontane" o “Il libro di Ruggero”, definisce l’abitato “rocca (qal’a)”. Il cronista normanno Ugo Falcando, nel 1165, riporta la notizia dell’occupazione di “Rimetulam, castellum fortissimum” per opera dei messinesi. Il Castello viene poi inserito, con decreto imperiale del 5 ottobre 1239 emanato da Federico II, nei Castra exempta, un elenco dei castelli demaniali del Regno di Sicilia stilato con la collaborazione di Pier delle Vigne che ritenne di gestire direttamente dalla propria Curia. Il censimento dei castelli individuò, tra gli oltre 250, un’ottantina particolarmente importanti per il controllo del territorio e che, pertanto, dovevano essere definiti demaniali (exempta), ovvero dipendere direttamente dall'imperatore. Rometta era uno di questi. In epoca angioina (sec. XIII) la fortezza è inserita tra i “castra citra flumen Salsum”, governata da un “miles congerius” e nel 1294 tale Berardo Ferro entra in possesso del castello per volontà di re Giacomo II e perde la sua condizione di demaniale. Il compito del Ferro doveva essere quello di migliorare le condizioni d’uso della fortezza. Nel 1337 vi soggiorna Federico III d’Aragona e nel 1398 il parlamento di Siracusa censisce il Castello come facente parte del regio demanio per cui, l’anno successivo, Martino I concede l’abitato allo stratigoto di Messina. Fortezza e Borgo vengono coinvolti in varie operazioni militari nel XVI secolo e nel 1674 il Castello è ancora al centro di eventi bellici durante la rivolta antispagnola di Messina. Durante la campagna di riconquista spagnola dell’isola nel 1718-19, la cosiddetta “Guerra di Successione” dopo la morte del re Sole Luigi XIV di Francia combattuta dal regno di Spagna contro Inghilterra, Francia, Austria e Paesi Bassi per il predominio sul mare Mediterraneo, il Castello funziona da base operativa. Nel 1757 è descritto dall’abate Vito Amico sostanzialmente integro nelle sue strutture: “Occupa il poggio quasi nel centro il palazzo intitolato della Torre Grande, di non comune magnificenza, con muraglie di solide pietre, triplice ordine di volte, un’amplissima cisterna nelle prime costruzioni (nel sottosuolo), ammirabile finalmente per grandi aule, stimata opera di Federico II e spesse volte onorata di sua presenza e dimora di sollievo e di salute. Attingevano quasi tutti i cittadini dalla cisterna prima che cavati fossero i pozzi”. Il Castello sorge sulla porzione più alta e dominante della grande rocca che ospita l’abitato di Rometta e oggi consta di alcuni ruderi imponenti: il Mastio, denominato tradizionalmente palatium (Palatium e Domus solaciorum, case di svago) composto di due corpi quadrangolari adiacenti e la Torre a due elevazioni nella parte opposta che divenne carcere e luogo detentivo per i condannati a morte. Tra i due grandi corpi di fabbrica si possono ancora osservare gli ultimi resti della cinta muraria del Castello, nella forma di un basso muro di cinta, che collega le due grandi torri sia a nord, che a sud. Le caratteristiche stilistiche consentono di datare questa fortificazione al periodo normanno-svevo.

Fiumedinisi

Denominato Castello Belvedere per via della sua posizione emergente e isolata a controllo del territorio della vallata del Nisi a circa 750 metri sul livello del mare, non si posseggono notizie certe sulla data di fondazione ma certamente era esistente quando, nel settembre del 1197, il padre di Federico II di Svevia Enrico VI Hoenstaufen morì a Fiumedinisi, si disse, per congestione dopo aver bevuto l’acqua gelata del fiume Nisi. Nel 1271 il Borgo è attestato come casale e nel 1296 è menzionato quale feudo del miles Ruggero de Vallone da Messina. Passerà, insieme al Castello, al miles Giovanni Saccamo nel 1354; a Guglielmo Rosso conte di Aidone l’anno successivo; a Giovanni Mangiavacca capitano e castellano di Francavilla, nel 1357, da re Federico IV; a Tommaso Romano Colonna nel 1392 da re Martino nella cui proprietà rimarrà fino all’abolizione del feudalesimo in Sicilia. A pianta poligonale irregolare, il Castello di cui rimangono cospicui avanzi del mastio si sviluppa su una rupe a strapiombo con una visuale che copre il mare e la costa per lunga distanza.

Savoca

Denominato Pentefur e ridotto a rudere, il Castello a pianta trapezoidale sorge su uno dei due colli sovrastante il Borgo. Di epoca normanna sorto su preesistente fortificazione presumibilmente bizantino-araba, ospitò la residenza estiva dell'Archimandrita di Messina Luca, signore della Baronia di Savoca, nel secolo XII. Secondo alcune fonti i “Pentefur” erano fenici provenienti dalla città di “Phoinix” (Santa Teresa di Riva). Secondo una leggenda medievale, invece, prende il nome da cinque=pente e ladri=fur con riferimento a cinque ladri evasi dal carcere di Taormina e che nel sito si stabilirono per le loro scorrerie. In realtà deriverebbe dall’unione di pente=cinque e fulè=quartiere, in cinque quartieri appunti nei quali era suddiviso il Borgo di Savoca in epoca bizantina. Elevato a Castello Regio nel 1355 da re Federico IV di Sicilia, dopo alterne vicende nel cui possesso si alternarono il miles messinese Guglielmo Rosso Conte d’Aidone, il nobile messinese Federico di Giordano nel 1356, Tommaso Crisafi da Messina nel 1385, Federico Spadafora da Messina, agli inizi del ‘400 il Castello tornò definitivamente in possesso degli Archimandriti perdendo lo status di Castello Regio. Restaurato nel 1480 dall’Archimandrita Leonzio II Crisafi e nel 1631 ampliato e abbellito dall’Archimandrita Diego de Requiesenz, era anche presidiato costantemente da una guarnigione militare in contatto con le numerose torri litoranee di avvistamento appartenenti al territorio di Santa Teresa di Riva, Furci Siculo e Roccalumera (Torre Catalmo, Torre dei Saraceni, Torre del Baglio, Torre Avarna, Torre Varata). Alla fine del ‘600 subì gravi danni dal sisma del 1693, replicati in quello del 1783, e perciò fu abbandonato andando in rovina e le pietre usate dai savocesi per costruire le loro abitazioni. Dal 1885 ne è proprietaria la famiglia Nicòtina.

Forza d’Agrò

La fortezza venne fondata nell’XI secolo come nucleo principale a 420 m.s.l.m. per volontà del Gran Conte Ruggero d’Altavilla, su ruderi di epoca più antica (un kastron bizantino?). Lo stesso Ruggero gli diede il nome di Fortilicium D'Agrò, impropriamente denominato Castello (non vi fu mai un castellano) perché in realtà era una fortezza. Nel XVI secolo Filoteo degli Omodei lo ricorda già in rovina e nel 1595 venne ampiamente restaurato dai giurati e deputati forzesi, come ricorda un’iscrizione incisa sull'architrave della porta d'ingresso.  Durante la rivolta antispagnola del 1674-78, il Castello rimase fedele alla Spagna e perciò fu assediato e conquistato dai francesi. In questo periodo nelle sue sale si consumò un feroce massacro da parte di don Antonio de Hox, nobile francese e capitano del Castello con l’aspirazione a diventare signore di Forza d’Agrò. Dovendo consegnare al fratello Giacomo il comando della Fortezza, lo invitò a cena con i suoi familiari facendoli, alla fine, uccidere e fatti fare a pezzi nella notte del 24 luglio 1676. Occupato dalle truppe inglesi nel 1810 che vi apportano alcune modifiche, nel 1876 venne adibito a cimitero comunale che nel 1989 sarà trasferito altrove. Nel Portale d’ingresso, munito di caditoia con piombatoio, sulla sommità si trova l’iscrizione cinquecentesca, “Fu: redificato in li: 1595; per Ph(ilipp)o di Oliveri: Simoni Raneri: Bernardo Crisafulli Iurati: D(ome)n(i)co di MAscali: D(ome)n(i)co Garufi: Lixandro Mano: et Matheo Pagano Deputati”. All’interno si trovano anche i ruderi superstiti della Chiesa del Crocifisso insieme alla torre campanaria e da essa proviene la bellissima Croce lignea dipinta oggi custodita nella Chiesa Madre. A poca distanza dal Castello sorge la Guardiola che svetta su un promontorio da cui lo sguardo può spaziare illimitato tra le bellezze paesaggistiche naturali.

Taormina

Il Borgo di Taormina, sorto lungo i fianchi della rocca del “Tauro”, fu uno dei più importanti capisaldi della resistenza cristiana in Sicilia durante la conquista araba. L’abitato venne espugnato dai musulmani una prima volta nel 902 e il Castello, di epoca bizantina, fu l’ultimo a capitolare. Il Gran Conte Ruggero assediò Taormina nel 1077-78 e la espugnò. Risale al 1150 la descrizione di Muhammad al-Idrisi, un geografo e viaggiatore arabo incaricato da re Ruggero II Palermo di redigere una raccolta di carte geografiche dal titolo comunemente inteso di “Libro di re Ruggero”, che ricorda “Tabarmin” come “[...] fortezza difendevole, in sito erto ed eccelso, uno dei più celebri castelli primitivi e delle più nobili città vetuste fondata in un monte che sovrasta il mare [...]”. Solo Ugo Falcando, nella seconda metà del XII secolo, separa l’abitato dal Castello vero e proprio “in ardua rupe positum”.  Nel 1240 il Castello fu annoverato da Federico II di Svevia tra i castra exempta e affidato a Paolo de Ocra.  Nel 1274 era reggente Henri de Fer e, in quanto demaniale, il Castello in mano angioina venne assediato durante la guerra del Vespro del 1282. Sotto gli aragonesi fu affidato, nel 1297, a Berengario de Orioles già barone di Raccuja. Michele da Piazza, nel 1353, definì “inferius” il Castello di Taormina, al fine di distinguerlo dalle limitrofe fortificazioni di Castelmola, ubicate ad una quota più alta. Verso la metà del XIV sec. la rocca risultava occupata da alleati di Enrico il Rosso ma il Parlamento siciliano, riunitosi a Siracusa, proclamava nel 1398 Taormina e il relativo Castello “in perpetuum de Demanio”.   

Castelmola

In origine fortificazione citata da Diodoro Siculo nel corso della contesa tra Taormina e Siracusa (390 – 389 a.C.), del Castello oggi restano solo delle poderose mura normanne e l‘unico elemento sicuro per la sua datazione precedente è oggi costituito da un’epigrafe in greco-bizantino del IX secolo in una targa marmorea collocata sulla parete retrostante il campanile del Duomo di San Nicola di Bari: “questo castello fu costruito sotto Costantino, patrizio e stratega di Sicilia”. Il riferimento è al patrizio Costantino Caramalo, ultimo stratega di Taormina nel IX secolo che fece rafforzare le fortificazioni di Castelmola. Nel 1334, sotto il regno di Pietro d'Aragona II di Sicilia, fu cinto di mura difensive per poi essere utilizzato come fortezza e prigione. Nel 1353 Michele da Piazza definisce il Castello di antica fondazione e nel 1419 ne è castellano Pietro Forni. Fu restaurato nel 1578, come testimonia un’epigrafe e un emblema con le tre torri di Castelmola sulla sommità dell’arco nel portale d’ingresso con la dicitura: “Castello fedele a Sua Maestà – anno 1578”. Alcuni ambienti sono oggi destinati a Museo del Medioevo Siciliano.

Francavilla di Sicilia

Sorge sul vertice di un colle, isolato da tutti i lati, a quota metri 475 s.l.m. Ormai allo stato di rudere, la notizia più antica risale intorno al 1100, come conseguenza dell’elevazione a Contea della terra di Francavilla e nel quadro dell’assetto feudale della Sicilia, e veniva edificato sul crinale della collina che sovrasta l’abitato, come riferisce Tommaso Fazello nel 1573: “Da Taormina si risale a Francavilla che è un castello, ornato dal titolo di Contea il quale era in piedi al tempo di Guglielmo I – Re di Sicilia – (1154-1166) come ben si legge nel libro delle cose fatte da lui.”. In epoca sveva, durante il regno di Federico II (1194-1250), il Castello è in possesso del visconte Pietro Ruffo, Maresciallo del Regno di Sicilia e consigliere del Re ed Imperatore. Dopo la rivolta del 1282 contro gli Angioini, definitivamente debellati e cacciati dalla Sicilia, il Castello venne temporaneamente affidato al capitano Simone Calatafimi. Quindi, attraverso diverse successioni dagli aragonesi ai castigliani, fu poi un punto di forza nella famosa battaglia di Francavilla del 20 giugno 1719 che impegnò tutta la giornata le truppe austriache contro quelle spagnole. Dopo l’abolizione, nel 1813, del regime feudale in Sicilia, il Castello venne abbandonato e cadde ben presto in rovina.

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