

Il pilota di Annibale che divenne un “semidio”
Sulla punta estrema verso nord-est del territorio messinese si trova “Capo Peloro” dove sorge il parco Horcynus Orca, Centro Culturale e Museo. Ma, perché si chiama “Peloro”?
Peloro è la personificazione del promontorio di Messina oggi detto anche Capo del Faro. Secondo la leggenda era il pilota della nave di Annibale che giunse a Messina nel 264 a.C., durante la Prima Guerra Punica fra cartaginesi e romani chiamati dai mamertini in difesa di Messina. Annibale uccise il suo nocchiero, Peloro, perché accusato (ingiustamente) di tradimento nonostante egli si difendesse fino in punto di morte. Il promontorio prese il suo nome appunto perché Annibale credette di essere stato ingannato e condotto in un’insenatura a fondo cieco apparendo, da lontano, unite le coste di Sicilia e di Calabria. Dopo essersi reso conto del proprio errore, intitolò al suo nome il promontorio e gli fece erigere un tumolo e una statua quale segnale ai naviganti. Annibale Barca (Cartagine, 247 a.C. – Lybissa, 183 a.C.) era un condottiero e politico cartaginese definito da Theodor Mommsen "il più grande generale dell'antichità". La Prima Guerra Punica (264-241 a.C.) fu la prima di tre guerre combattute tra Cartagine e Roma, si protrasse per oltre 20 anni con le due potenze che si scontrarono per avere la supremazia nel Mar Mediterraneo occidentale, soprattutto combattendo in Sicilia.
Un tempo la catena montuosa che si estende per circa 65 km da Capo Peloro ai Monti Nebrodi e sovrasta parte della Città Metropolitana di Messina, prendeva il nome di Monti “Nettuni” in onore al Dio del mare che staccò col suo tridente la Sicilia dal continente, creando lo Stretto di Messina. Successivamente cambiò denominazione in Monti “Peloritani”.
Della statua narrano Strabone (60 a.C. – 21-24 d.C.) e Valerio Massimo (I sec. a.C. – post 31 d.C.). Strabone riferisce di una torre di segnalazione molto alta, probabilmente dedicata al pilota Peloro. Valerio Massimo parla di una “statua che scruta il mare da un alto tumulo ma a narrare con maggiore precisione e ricchezza di particolari è lo storico egizio Olimpiodoro di Tebe (407- 425 d.C.). Fu il patriarca bizantino Fozio I, nella sua Biblioteca, a tramandare questo episodio tratto dall’opera perduta di Olimpiodoro. Il re dei Visigoti, Alarico I, dopo il sacco di Roma a seguito dell’assedio nella notte del 24 agosto 410, proseguì dirigendosi verso la Sicilia con l’intenzione di invaderla con la sua flotta. Una gigantesca statua eretta nella punta dello Stretto di Messina con la funzione di impedire il passaggio ai barbari, lo terrorizzò talmente al punto da indurlo a rinunciare all'invasione e a ritirarsi più a nord. La statua su una torre è anche raffigurata in un'emissione argentea di Sesto Pompeo, un denario datato al 42-40 o al 38-36 a.C. che rappresenta, sul dritto, il faro di Capo Peloro sormontato da una statua dotata di elmo, tridente e timone e col piede su una prua di nave.
All’interno delle catacombe di S. Lucia a Siracusa, nel “Sacello pagano”, si trova un affresco con una scena particolare: rappresenta proprio Zeus Peloros e la figura di Poseidone Porthmios, personificazione dello Stretto di Messina. Affreschi che consentono di datare l’uso del sacello tra il III e il II secolo a.C. Il personaggio, una gigantesca statua maschile nuda, è su una costruzione fortificata con torri merlate su una spiaggia marina, il piede destro poggiante sulla prua di una nave rostrata. L’iscrizione riporta il nome del soggetto raffigurato, “Zeus Peloros”. Scrive in proposito Giancarlo Germanà Bozza (2016): “Sul lato est, è raffigurato Zeus Peloros stante, con il piede destro sulla prua di una nave, con la folgore nella mano sinistra e, probabilmente, l’aplustre nella destra protesa in avanti. Il dio è raffigurato su un tratto di cinta muraria delimitato ai due lati da due torri, sotto il quale, a sinistra, si vede, sdraiato su una chiatta, Poseidon Porthmios […] Secondo Caruso (Fabio Caruso, 2009) questa scena farebbe riferimento alla colossale statua di Zeus Peloros collocata presso Capo Peloro, all’estremità nordoccidentale della Sicilia, presso il punto più vicino all’Italia.”