Le Feste Tipiche

Nel cuore della tradizione

Le Feste Tipiche - Messina

Carnevale Cattafese a San Filippo del Mela

9 - 23 febbraio

E’ organizzato dall’Associazione Culturale Danze e Musiche Popolari “A Màschira” col patrocinio del Comune di San Filippo del Mela, che ha come unico e fondamentale obiettivo quello di promuovere, sviluppare e diffondere la pluricentenaria tradizione popolare della frazione Cattafi di San Filippo del Mela: Il Carnevale Cattafese e la sua figura tipica, lo “Scacciuni”. Queste caratteristiche e tipiche maschere rievocano con danze mimiche la scacciata da parte degli abitanti di invasori turcheschi, da cui il nome “scacciuni”. L’origine di questa maschera, poi trasformata nel tempo per essere adattata alle feste carnascialesche, dovrebbe perciò risalire ai secoli XVI o XVII quando le coste siciliane erano maggiormente invase da navi di pirati che saccheggiavano e depredavano le località costiere. In particolare Paolo Maggio, nel suo libro "San Filippo del Mela e l'antico Artemisio", scrive: "Nel luglio del 1544, fu Antonio Balsamo, barone di Cattafi, che, con 120 armati a cavallo, accorse in aiuto alle altre forze, riuscendo a far prendere il mare alle orde di Hjerddis Barbarossa, ammiraglio di Solimano I, che si erano spinte, saccheggiando ed incendiando, fin sono l'abito di Santa Lucia". Probabilmente, ad evocare questo evento epocale, i cattafesi iniziarono ad indossare i costumi degli sconfitti, caratterizzati da un alto cappello a cono ornato da pietre preziose e sul cui vertice sono fissati lunghi nastri policromi. Il frustino (“u nerbu di viteddu”) che tengono in mano, fu aggiunto quando gli scacciuni” facevano da garanti ai giovani che venivano da fuori a Cattafi in cerca di ragazze da sposare, uno strumento, quindi, di difesa e offesa.

Carnevale dell’Orso di Saponara

Martedì grasso  

La rappresentazione che si svolge per le strade del Borgo ha origine nel sec. XVIII, voluta dal principe Domenico Alliata magnanimo ed illuminato Signore di quelle terre. L’evento rievoca un fatto realmente accaduto a Saponara quando il principe liberò le campagne circostanti dalla minacciosa presenza di un orso evidentemente fuggito da un circo, portandolo poi in catene per le strade del Borgo. Per tale motivo il corteo in costume è composto dal protagonista, l’Orso, da cacciatori, domatori, suonatori di “brogna” (strumento musicale a fiato ricavato da una conchiglia), dalla Corte principesca di dame, cavalieri, il Principe e la Principessa e dallo scrivano con libro, piuma in mano e il compito di registrare l’evento epocale. L’Orso (il costume un tempo era composto di pesanti pelli di capra), legato ad una catena tenuta da tre domatori, dà vita a un repertorio mitico-gestuale abbandonandosi ad intemperanze e atti di trasgressione. Rincorre ed assale le donne, sue ambite prede, con atti di violenza sessuale rituale: le stringe, le “scutulia” (le fa dondolare energicamente tra le sue braccia), “’i strica” (le strofina a sé) e infine mima il gesto sessuale, “ca jamma fa zummi zummi” (agitando freneticamente una delle gambe). Alla fine, il male rappresentato dall’Orso che dura per tutta la sfilata, si sottomette docilmente al bene e all’ordine costituito quando in piazza Orso, Principe, Principessa e gli altri personaggi, ballano insieme in una danza rituale di riconciliazione.

Carnevale di Rodì Milici

Domenica e Martedì di carnevale

Il Carnevale a Rodì Milici si caratterizza per gli originali “Mesi dell’Anno” (“I Misi ill’Annu”), manifestazione unica nel suo genere che propone una specie di personificazione dei 12 mesi in chiave satirica e umoristica, riconosciuta dall’Assessorato Regionale ai Beni Culturali e perciò iscritta nel Registro delle Eredità Immateriali (R.E.I). Si deve al poeta don Peppe l’introduzione di questa rappresentazione nel 1880 che ha luogo nelle prime ore della domenica e del successivo Martedì Grasso. I dodici mesi dell’anno interpretati da abitanti del Borgo, con esclusione dell’unica donna che rappresenta il mese di aprile, entrano in piazza a dorso di asini e cavalli bardati, mascherati con riferimenti allegorici ai mesi che interpretano e accompagnati dagli attendenti. Qui avviene la “Disputa della Corona", una recita in dialetto Agro–Pastorale dove a turno, con piglio minaccioso, i mesi si rivolgono al Re decantando le proprie qualità e contendendone, perciò, la corona e il potere. Alla fine interviene il Poeta o Borghese che ricompone il conflitto di potere, chiude il cerchio allegorico del cerimoniale e invita tutti a mangiare e a danzare con la "Scialata di Cannaluvari" degustando pane e salciccia, vino Mamertino e dolci tipici locali.

Pasqua a San Fratello, Festa dei Giudei

5 - 12 aprile  

Rito di origine medievale, la “Festa dei Giudei” che ha inizio all’alba del Mercoledì Santo rappresenta l’insorgenza del demoniaco nel sacro perché i “Giudei” sono quelli che percossero e condussero Cristo al “Calvario”. Il Mercoledì, Giovedì e Venerdì Santo i “Giudei” sciamano nell’abitato suonando in maniera stridula trombe militari, compiendo pazzie, scatenandosi in ardite acrobazie. Scriveva Giuseppe Pitrè nel secolo XIX: “[...] i giovani mandriani camuffati intenzionalmente da giudei, corrono all’impazzata per le strade facendo un vero pandemonio ed assordano la gente”. Il caratteristico costume che indossano i “Giudei” è composto, secondo tradizione, da una giubba rossa e gialla con ricami floreali davanti e spalline frangiate e pantaloni di mussola rossa. La testa è coperta da una maschera detta sbirrijan nel dialetto sanfratellano gallo-italico, con lingua lunga, sopracciglia anch’esse lunghe e arcuate, baffi e naso giallo. Altri accessori sono l’elmo con visiera e pennacchio che ricorda quello dei romani, coda di cavallo dietro e scarpe di cuoio grezzo e stoffa, schierpi d'piau, sempre nel dialetto sanfratellano gallo-italico, catene a maglie larghe nella mano sinistra, la d'scplina (disciplina) e tromba che suonano di continuo.

Festa di Santa Lucia a Savoca

Seconda domenica d’agosto

Patrona di Savoca, la Festa di Santa Lucia (Siracusa, 283 – Siracusa, 13 dicembre 304) rievoca il suo martirio ad opera di Pascasio, con un corteo rituale che si svolge per le strade del centro medievale a partire dal primo pomeriggio. La prima scena mimata è quella riferita alla conduzione di Lucia nel lupanare. Un uomo tiene sulle spalle una bambina di 5 o 7 anni vestita di bianco, che rappresenta Lucia, controllata e minacciata dalle lance di giovani vestiti da soldati romani (detti “giudei”) e incitati dal “diavulazzu” o “virseriu” (“virseriu” nella parlata locale, per i versi che fa) che rappresenta il crudele Pascasio. L’uomo che la trasporta quindi si ferma, vengono condotti due buoi addobbati con nastri rossi ed altre zagaglie e una fune viene legata all’anello del giogo e l’altro capo, annodato ai fianchi della Lucia, per essere trascinata così alla casa di perdizione. Si muove il corteo, aperto da tamburini in costume mentre il “diavulazzu” corre su e giù, per oltraggiare Lucia e tentarla al peccato. Il “diavulazzu” indossa un abito rosso stretto ai fianchi da una cintura di campanacci e con il volto camuffato da una maschera orrida in legno, con due lunghe corna terminanti a testa diabolica. Tiene fra le mani un lungo forcone terminante ad uncini (“croccu”) e con esso si fa largo correndo fra la folla, lo batte sulle lance dei soldati romani per incitarli, lo fa ruotare in atteggiamento provocatorio e tentatore vicino al viso della Lucia. Il corteo, in conclusione, si ferma in piazza Fossia. La Lucia abbatte i Giudei, rompe la fune e mette in fuga i buoi e il “diavulazzu”: trionfatrice, viene portata in giro per la piazza fra gli applausi della folla e la musica della banda.

Festa del “Muzzuni” ad Alcara Li Fusi

24 giugno  

La festa di San Giovanni (24 giugno), detta “U Muzzuni”, è la più antica d’Italia e risale al secolo V-IV a.C. quando si ringraziavano Demetra e Kore, la prima per aver insegnato agli uomini la coltivazione della terra e la seconda perché garantiva il ritorno delle stagioni. “Muzzuni” è la brocca senza collo (mozzata) rivestita da un foulard di seta e adorna di ori delle famiglie di ogni quartiere che lo realizzano e che simboleggia l’abbondanza della terra in un rito propiziatorio del buon raccolto cerealicolo. La festa coincideva con il solstizio d’estate celebrato il 21 giugno ma con l’avvento del Cristianesimo il rito è stato mutato in commemorazione della decapitazione di San Giovanni Battista. Il “Muzzuni”, dalla cui sommità fuoriescono steli di orzo e grano fatti germogliare al buio e spighe di grano già maturato, si prepara in gran segreto dalle donne. La festa dura 3 giorni, dal 22 al 24 giugno. La sera intorno alle 21 vengono ultimati dalle donne gli altarini sui quali viene collocato il “Muzzuni”, una bottiglia dal collo mozzo (con evidenti richiami al Battista) da cui fuoriescono spighe (a ricordare il grano che viene falciato e raccolto in fascioni, i mazzuna), garofani, lavanda e rametti di rosmarino, decorato con foulard ed oggetti d’oro. Attorno agli altarini, sulle pareti delle case e sui balconi vengono stese le “pizzare”, tipici tappeti multicolori tessuti con il telaio a pedale con ritagli di stoffa e secondo l’antica tradizione. Sulle “pizzare” poste negli altarini vengono poggiati i piatti con “i Laureddi” (“lavoretti”, steli di grano fatti germogliare al buio) e il “Muzzuni” da una giovane del quartiere, a simulare l’antica sacerdotessa pagana. Vengono cantate Chianote e Ruggere, “motti d’amore” o “di sdegno” attorno al “Muzzuni”, antichi canti polifonici fino all’alba. Per l’occasione si intrecciano i “comparatici”, “u sangiuvanni”.

Festa della Vara a Fiumedinisi

Seconda domenica d’Agosto  

Celebrata circa ogni 5 anni e istituita nel XVI secolo, si tratta di una macchina votiva realizzata in legno e ferro raffigurante l’Annunciazione del Signore con personaggi viventi e trasportata a spalla in processione da circa 150 uomini. In origine la festa della Vara si allestiva il giorno dell’Annunciazione, il 25 marzo di ogni anno e alla fine del secolo XIX venne spostata alla seconda domenica d’agosto. Sulla Vara lunga 10,40 metri e alta 7 circa, del peso di circa 2,8 tonnellate, prendono posto due bambini e una bambina di età compresa tra i 10 e i 14 anni che rappresentano il Padre Eterno, l’Arcangelo Gabriele e la Vergine Annunziata oltre all’arciprete di Fiumedinisi, all’Arcivescovo di Messina e ai tre “Mastri” che sovraintendono a tutte le fasi della processione. Suggestivi i canti tradizionali dialettali che vengono eseguiti in onore dell’Annunziata. La vigilia del 13 di sera è dedicata ai Viaggi, una processione penitenziale che i devoti compiono in ginocchio tra la chiesa di San Pietro e quella dell'Annunziata.

Festa del Cristo Lungo a Castroreale

23 -  25 agosto  

L’emozionante processione, in dialetto “U Signuri longu”, si tiene il 25 agosto per commemorare la prodigiosa librazione di Castroreale dall’epidemia di colera del 1854 portando in processione il simulacro del Crocifisso (secolo XVII) adorato nella chiesa di S. Agata. Ha luogo anche (già in antico) nelle ore pomeridiane del Mercoledì e Venerdì Santo. Il SS. Crocifisso, nel pomeriggio del 23 agosto, viene trasportato all’esterno della chiesa di S. Agata dov’è custodito e traslato nella Chiesa Madre, dove rimane esposto al culto fino al pomeriggio del 25, quando viene riportato in processione nella sua chiesa. Qui viene inalberato e issato su un palo sfaccettato con piantati diversi chiodi ad intervalli, dipinto in nero e alto 13 metri. Portato a spalla per le vie principali, è tenuto in equilibrio con l’ausilio di lunghe pertiche di diversa lunghezza munite di forcine in ferro che con perizia si appuntano ai chiodi del palo. La Croce così inalberata raggiunge l’altezza di circa quattordici metri e supera tutti gli edifici del Borgo ad eccezione della Chiesa Madre dove entra alla fine della processione in orizzontale e poi innalzato fino a sfiorare le travature del tetto.

Festa della Madonna della Luce a Mistretta

7 – 8 settembre  

Si tratta di una festa singolare e particolare nella quale una coppia di Giganti (nel dialetto locale, i “Giasanti”), Mithia e Kronos, sono portati a spalla e seguono in processione la statua della Madonna della Luce che per il resto dell’anno è custodita nel Santuario del Cimitero. Secondo la leggenda un fra Benedetto eremita, mentre stava dando sepoltura a un confratello, trovò casualmente dentro una grotta un’immagine della Madonna che emanava luce. Accanto al dipinto vi erano delle ossa grandissime che furono attribuite ai giganti che erano lì a guardia della sacra icona. Nel giorno della festa, davanti alla Chiesa Madre a mezzogiorno si svolge il ballo (“abballu”) rituale dei Giganti. Nel pomeriggio dello stesso giorno, Mithia e Kronos affiancano la statua della Madonna portata a spalla e la scortano per tutta la processione.

La Festa “du Capidduzzu di Maria” a Monforte San Giorgio

Primo sabato del mese di settembre

La festa risale al 1650, anno in cui il sacerdote Antonino Faranda faceva donazione all’eremo-santuario di Maria SS. del Crispino a Monforte San Giorgio, di un frammento di capello della Madonna, tutto registrato negli atti del notaio messinese Federico Dolcetta. Il sacro capello era pervenuto al Faranda dal sacerdote Paolo Teloia di Randazzo che a sua volta l’aveva ricevuto dal cardinale Ruiz del Val nel 1642. Il giorno della processione, nelle prime ore del pomeriggio, convengono i fedeli e i pellegrini al Santuario di Maria SS. del Crispino. Sull’altare maggiore è deposta l’urna d’argento contenente il sacro capello e dopo la celebrazione della messa, all’imbrunire vero le 19,30, ha inizio la processione. Accompagnato da musici con zampogne, tamburelli, fisarmoniche e flauti, il corteo dei devoti e dei componenti della Confraternita di Maria SS. del Crispino si dirige verso la Chiesa Madre al rullio continuo dei tamburi. Il percorso è illuminato da centinaia di piccole lucerne in terracotta ad olio, i “lumiricchi”, accese sui bordi delle strade e sui davanzali delle finestre. La processione si conclude con l’ingresso nella Chiesa Madre di Monforte e con la tradizionale “Maccarunata du Capidduzzu” accompagnata dai musicisti e dai canti di esperti solisti.

Festa di Sant’Onofrio a Casalvecchio Siculo

Seconda domenica settembre  

La festa si caratterizza anche per la presenza di “U Camiddu” (il cammello) che alle 15,00 in punto comincia a girare per le vie di Casalvecchio Siculo, seguito da nugoli di bambini schiamazzanti. Secondo la tradizione, la maschera del cammello è una sceneggiata coreografica popolare mediante la quale il Borgo celebra la propria autonomia da Savoca ottenuta nel 1793. Per Domenico Puzzolo Sigillo l’origine è da ricercare “nelle vecchie antinomie demografiche, storiche e tradizionali con la vicinissima Savoca”. Infatti, le due gobbe del cammello irridono il colle bivertice sul quale sorge Savoca e il cammelliere, che doma e tiene a bada l’animale (Savoca), non è altri che la figurazione di Casalvecchio. Dopo le buffonesche imprese del Camiddu che viene bastonato, umiliato e infine domato fra gli schiamazzi del popolo, alle 19,00 ha inizio la processione col trasporto del fercolo su cui è sistemata la statua d’argento di Sant’Onofrio (III Secolo, Egitto - IV Secolo, Egitto), un’opera firmata Giuseppe Aricò e datata 1745. Il Santo è raffigurato secondo l’iconografia classica, da eremita, con i capelli lunghissimi, barba incolta e un serto di foglie all’altezza del bacino.

San Filippo del Mela