Tra i megaliti di Montalbano Elicona, al confine fra cielo e terra dove il tempo si è fermato
A circa 6 chilometri da Montalbano Elicona e a 1200 metri sul livello del mare, all’interno della “Riserva Orientata del Bosco di Malabotta”, si trova questo sorprendente sito dove astrologia, alchimia, culto, esoterismo si fondono in un luogo senza tempo. Una civiltà ancora sconosciuta scelse questo posto tra il 4000 e il 1500 a.C., trasportando alcuni blocchi di granito come simboli e per usi e destinazioni particolari ed ivi collocati, con scrupoloso allineamento. L’Argimusco rappresenterebbe, così, una sorta di calendario astronomico per la determinazione dei solstizi e degli equinozi.
Ogni pietra dell’Argimusco reca profondi significati legati alla sua rappresentazione esteriore. I menhir sono pietre singole verticali erette come monumento di adorazione (dal bretone “Men”, pietra e “Hir” lungo). L’Aquila è un indicatore astronomico il cui becco punta verso l’Etna visibile sullo sfondo e di una necropoli. I due giganteschi menhir all’ingresso del sito, simboli sessuali della virilità e delle femminilità, celebrano i riti della fecondità ma sono anche simboli alchemici. Il guerriero mostra la forma di un viso umano oblungo con un buco identificabile con l'occhio. Il foro fa pensare a un possibile uso astronomico della roccia. La roccia con sfera è un masso dalla forma triangolare con una sfera incassata, e, secondo Paul Devis e Alessandro Musco, la palla avrebbe potuto riferirsi a quello che nell'iconografia alchemica era l’”uovo filosofale", che dopo varie manipolazioni si trasformava in pietra filosofale e quindi nell'elemento necessario alla produzione dell'oro. In allineamento con la direzione ovest, che ne esalta il profilo al tramonto del sole, è la dea Neolitica Orante. E’ la roccia tra le più suggestive del sito, una figura femminile in atto di preghiera alta 25 metri col volto rivolto a settentrione. E poi, la pietra del leone, la pietra di Ofiuco (la tredicesima Costellazione zodiacale esclusa dall’astrologia), la testa del serpente per le applicazioni di medicina astrale, la vasca per le sanguisughe.
Re Federico III d’Aragona, nel luglio del 1303, proprio dall’Argimusco invia una lettera al fratello Giacomo. La presenza di una vasca scavata nella roccia, usata per le sanguisughe, fa pensare che il sovrano usasse il luogo per curarsi la gotta ad opera del medico personale, il misterioso Arnaldo da Villanova, medico, filosofo, alchimista e teologo valenciano.
L’Argimusco è stato oggetto di studi di astronomia culturale da parte di Andrea Orlando, presidente dell'Istituto di Archeoastronomia Siciliana, su allineamenti astronomici nella posizione delle rocce e su una funzione rituale o calendariale del luogo. Per Paul Devins la realizzazione del sito data ad epoca tardo-medievale e nel saggio “Argimusco Decoded” scritto con Sandro Musco, viene proposta la teoria dello Specchio delle Stelle: l’Argimusco è "un sito di enormi statue di pietra che, unico caso al mondo, riproduce specularmente dieci costellazioni presenti sull'orizzonte al tramonto estivo. Tutto questo per le cure mediche e la salute di una famiglia reale del 1300, quella degli Aragona di Sicilia”. Oltre alle pietre-statue raffiguranti le costellazioni della Vergine, dell'Aquila, del Serpente, di Ofiuco, del Cratere, del Cigno, dell'Idra, del Corvo, del Sagittario e del Leone, Devins e Musco hanno individuato anche alcune pietre riproducenti simboli alchemici e templari: il Pellicano, la Civetta, l’Alambicco, il Salnitro e il Tetragramma.
I riferimenti storici più antichi sull’Argimusco si trovano nell’”Historia Sicula” di Bartolomeo di Neocastro (Messina […] – 1294 o 1295). Nell’’opera, redatta in latino dal 1250 al 1293, l’autore riferisce di un passaggio di re Pietro III d’Aragona nel 1282, all’epoca dei “Vespri Siciliani”, presso la località definita “Argimustus”. In “Argimusco Decoded” Paul Devis e Alessandro Musco evidenziano alcuni simboli alchemici: “Se osservato dall’ingresso del sito, il menhir è una perfetta e inquietante riproduzione del simbolo della Civetta alchemica […] simbolo della Dea Minerva e della capacità di vedere nell’occulto. Accanto notiamo un megalite menhir più piccolo […] definito simbolo della “femminilità” rappresenta, in realtà, il Pellicano […] Trattasi di una riproduzione dell’alambicco degli alchimisti, chiamato “pellicano”, ovvero di un alambicco alchemico ove gli alchimisti distillavano i liquidi per la produzione della Pietra Filosofale.”. A tale proposito, in riferimento alla tradizione alchemica, si suppone che il termine “Argimusco” derivi dal latino “muscus” (muschio) presente attaccato ai massi e “Argi”, dal greco antico “argos” (splendente, luccicante).
(Foto dell’arch. Nino Principato)