

La “cannoniera del popolo”
“DINA E CLARENZA/LE EROINE DELLA GUERRA DEL VESPRO/EBBERO NEL 1848/SU QUESTA VIA/E AL FORTE DEI PIZZILLARI/EMULA GLORIOSA/L’ARTIGLIERA DEL POPOLO/ROSA DONATO”: così si leggeva nell’epigrafe dettata nel 1907 da Virgilio Saccà e posta in via Primo Settembre a Messina (oggi non più esistente). Rosa Russo Donato aveva avuto, infatti, una parte non di secondo piano nei moti prerisorgimentali del 1848 combattendo senza risparmiarsi contro le truppe borboniche, sempre in prima linea.
Con Carlo VII di Borbone, che entrò a Messina il 9 marzo 1735, ebbe inizio la dinastia borbonica in Sicilia che durerà fino al 1860. Dopo che il sovrano Ferdinando IV, il 20 luglio 1812 promulgò una “Costituzione liberale” in Sicilia che poi riformerà, in senso negativo, assumendo il titolo di Ferdinando I re del Regno delle Due Sicilie, si manifesteranno i primi tumulti nell’Isola. Nel 1817 si erano costituite a Messina “Vendite carbonare” e già nel 1820, nella città, ebbero inizio le prime sollevazioni antiborboniche. In quell’anno Messina aveva invocato la Costituzione liberale promulgata a Napoli e il 25 marzo 1821, al comando del generale Rossarol, era insorta. L’anno successivo, la Costituzione fu abolita in tutto il Regno delle Due Sicilie. Il 21 settembre 1830 salì al trono Ferdinando II di Borbone che venne in visita a Messina l’1 ottobre 1838. La prima, vera rivolta antiborbonica che darà l’avvio al Risorgimento nazionale, sarà quella del 1 settembre 1847, iniziata a Messina verso le ore 6 del pomeriggio e sedata nel sangue dopo 2 ore di aspri combattimenti, alle 8 di sera: era l’annunzio della grande insurrezione che avverrà in città, alle ore 9 antimeridiane, il 29 gennaio 1848.
Nasce nel 1808 a Messina, figlia del “cuciniere” Rosario Russo e di Antonia Oteri. Trascorre l’adolescenza assistendo in città ai primi moti antiborbonici del 1820-21 e alla feroce repressione borbonica culminata con la fucilazione dei primi patrioti. Si sposa con lo stalliere Gaetano Donato, ne rimane vedova e si adatta a vivere svolgendo umili lavori ma, dentro di lei, arde irrefrenabile il fuoco della rivolta. Lo storico e patriota messinese Giuseppe La Farina (1815-1863) la descrive come “una povera donna del vulgo, che vivea tosando i cani: sotto luridi cenci cuore per audacia ed abnegazione sublime”. Francesco Guardione (1847-1940), altro storico messinese, sottolinea che pur mancando di cultura politica, tuttavia nutre “un sacro affetto verso la patria” cui antepone tutto. Nel 1848-49 Rosa Donato partecipa in prima linea alla rivoluzione siciliana antiborbonica, a Messina e poi a Palermo. Da quest’ultima città, dopo la riconquista borbonica nel maggio 1849, torna a Messina e qui viene arrestata, torturata e incarcerata per 15 mesi nelle segrete della Cittadella. Uscita di prigione, vive chiedendo l’elemosina e soltanto dopo il 1860 le viene concesso “un modesto vitto decretatole dalla patria”. Morirà in povertà, l’8 novembre 1867.
Da gennaio a settembre 1848, a Messina, Rosa Donato è protagonista di tanti scontri armati con le truppe borboniche. Scontri che la impegnano col suo fido cannoncino da lei sottratto alle truppe regie il 29 gennaio 1848 che, munito di ruote, conduce sempre con sé. “L’artiglieria nazionale – scrive Giuseppe La Farina – della quale è parola, era un piccolo cannone arrugginito, legato colle funi su di un barroccino, trascinato da Rosa Donato e comandato dal Lanzetta, antico artigliere […] dette prove di sommo ardire Rosa Donato, che i bullettini officiali di quel giorno paragonavano alle messinesi Dina e Clarenza […]”. La “cannoniera del popolo”, così è soprannominata, nelle cronache e nell’iconografia viene ricordata nell’atto di caricare il cannone e sparare contro i nemici. Il primo febbraio Rosa Donato partecipa agli scontri nel quartiere di San Francesco e così farà nei mesi a venire: “Ella da artigliere – scrive Gaetano Oliva – combatté il nemico […] e nel terribile combattimento della batteria ai Pizzillari la coraggiosissima cannoniera non morì, ché, travolta da un turbine di fumo e di sabbia, finse avere avuto morte per trovarsi in salvamento, e fuggendo da Messina dedicarsi ancora utilmente alla patria.”. Sarà promossa “caporale” sul campo e, posta al comando di “una batteria di sei mortai”, farà “prodigi di valore”.