

Dama di compagnia, cortigiana, guerriera nella Sicilia angioina e aragonese
“[…] molto bella e gentile, e valente nel cuore e nel corpo, generosa nel donare e, a tempo e luogo, valorosa nelle armi al par d’un cavaliere”: questo il ritratto che fa di Macalda di Scaletta Bernat Desclot, cronista catalano a lei contemporaneo che compose una “Crònica del Rey en Pere e dels seus antecessores passats”. Ma Macalda fu anche altro e il coevo cronista messinese Bartolomeo di Neocastro, nella sua “Historia Sicula”, è di tutt’altro parere ed a lei estremamente avverso: in effetti, l’avvenente Macalda era nota anche per la condotta politica spregiudicata e per i facili e promiscui costumi sessuali. Insomma, una donna sopra le righe…
Donna sensuale e attraente, spregiudicata e incline al tradimento coniugale, Macalda è passata alla storia come simbolo della dissolutezza dei costumi e della sfrenatezza sessuale. Di umili origini, ma ambiziosa e dotata di forte personalità, nacque a Scaletta Zanclea (attuale città metropolitana di Messina) nel 1240 circa. Dopo un primo matrimonio con Guglielmo Amico barone di Ficarra nel 1253, spogliato dei beni e ridotto in miseria già durante la dominazione sveva e morto in povertà a Messina, tra una relazione sessuale e l’altra, anche di natura incestuosa, per volere di Carlo d’Angiò Macalda andò sposa ad Alaimo da Lentini che era ben inserito nella cerchia angioina ed ebbe restituiti tutti i beni, già confiscati, del defunto marito. Quando scoppiò a Palermo la rivolta dei Vespri Siciliani nel 1282 e la stella degli angioini in Sicilia si avviava al tramonto, Macalda riuscì ad intrigare così bene da fare in modo che il marito divenisse Capitano di Messina ed uno dei principali ispiratori della rivolta, e lei, governatrice di Catania: in tale veste, dimentica dei favori ricevuti da re Carlo, spregiudicatamente spogliò i francesi dei loro beni e li consegnò alla vendetta degli inferociti siciliani.
Macalda di Scaletta, che concluse i suoi giorni nella torre del castello di Rocca Guelfonia a Messina, ebbe come unico passatempo quello concessole di giocare a scacchi con un altro illustre prigioniero, l’emiro Margam ibn Sebir. Al solito, non mancava di stupire tutti, carcerieri compresi, per la “[…] vivacità e l’immodestia degli abiti […]” indossati. La sua passione per il gioco degli scacchi, ne farà la prima scacchista di cui si abbia conoscenza storica in Sicilia.
Venuta a conoscenza che re Pietro III d’Aragona sarebbe giunto a Randazzo, Macalda con l’obiettivo di ottenerne i favori a lui si presentò marzialmente vestita a cavallo e impugnando una mazza d’argento. Il contemporaneo Bartolomeo da Neocastro, nella sua “Historia Sicula”, così riferisce quanto ella disse all’aragonese: “Macalda son io, o re e signore, moglie di Alaimo milite da Leontino, e il tuo regno ho aspettato come tutti gli altri Siciliani. Di gran consolazione e gaudio è per me questo felice giorno, in cui la Sicilia, per opera tua, liberò il Signor dalla sua miseria”. Macalda, quindi, seguì re Pietro durante i suoi spostamenti nelle città di Sicilia e, a Santa Lucia del Mela, con la scusa di essere giunta tardi e mancando alberghi nel paese, ottenne di essere ospitata nelle sue stanze ma il sovrano resistette alle profferte amorose della donna, fedele alla moglie. Macalda e Alaimo entrarono a far parte della corte regale e Alaimo, in particolare, fu nominato “Giustiziere del Regno” col compito di affiancare in Sicilia la regina, Costanza di Hohenstaufen e il figlio Giacomo, durante l’assenza di Pietro che si era recato in Francia per affrontare Carlo d’Angiò in un duello che non ebbe mai luogo.
Macalda, intanto, entrò in aperto conflitto con la regina Costanza scaricando su di lei tutto il suo astio per essere stata rifiutata dal regale consorte perdendone, così, la benevolenza. Oltre ciò, l’evento che fece cadere in disgrazia Alaimo fu quello di essersi comportato con indulgenza nei confronti di Carlo lo Zoppo, principe di Salerno e figlio di Carlo d’Angiò. Sospettato, per questo, di congiura, Alaimo si recò a Barcellona il 19 novembre 1284 in visita a re Pietro che lo aveva chiamato, accolto da questi in maniera cordiale ma tenuto sotto stretta sorveglianza. Alla partenza di Alaimo gli eventi in Sicilia precipitarono e Macalda, con i figli, venne arrestata e imprigionata nel Castello di Rocca Guelfonia a Messina, il 19 febbraio 1285 e dove morirà dopo il 1308. Morto re Pietro l’11 dicembre 1285, Giacomo II d’Aragona convinse il fratello primogenito Alfonso III a consegnargli Alaimo, cosa che egli fece il 4 agosto del 1287 al suo inviato. In viaggio per la Sicilia, Alaimo non toccò mai la terra natia: venne ammazzato per annegamento insieme ai suoi nipoti, avvolti in lenzuoli appesantiti da zavorre e gettati vivi in mare, secondo l’usanza rituale della mazzeratura.
(la foto del castello di Scaletta Zanclea è tratta dal sito ufficiale del Comune https://www.comunescalettazanclea.it/ che si ringrazia)