L’unico architetto della Storia che diede il suo nome a uno stile
Messina possiede ben dieci architetture di questo architetto singolare, dallo stile inclassificabile, tappa importante insieme a Roma e a Genova dove la sua produzione ha assunto dimensioni fenomenologiche.
Nel 1875, a Firenze, Mariano Coppedè apriva una piccola bottega artigiana d’intaglio, che poi sarebbe diventata il laboratorio di arti applicate noto come “La Casa Artistica”. Mariano Coppedè, il capostipite e fondatore della “Casa Artistica”, in un primo momento indirizzò le sue scelte nel solco neo-rinascimentale tipico della “Scuola Fiorentina” con la decorazione, pur magniloquente, che si mantiene in superficie. L’evoluzione che si manifesta intorno al 1890 e che porta ad una prima configurazione di quello che si affermerà come “stile Coppedè”, si avvale dell’apporto di Gino, il primo dei figli di Mariano, e degli insegnamenti da lui appresi alla scuola professionale di arti decorative industriali. Gino, matura definitivamente lo spostamento di interessi dal settore della scultura in legno e del mobile d’arte a quello dell’architettura. Carlo, secondogenito, si avvia ad una brillante carriera di pittore e Adolfo, terzogenito, dipinge anche lui e lavorerà intensamente anche per Mussolini cui presenterà, nel 1926, il progetto di una monumentale “Galleria” nel centro di Firenze ed eseguirà, gratuitamente, i progetti di alcune Case del Fascio.
Il 13-14 maggio 1908 L. Becherucci, in un suo articolo dal titolo “Genova che si rinnova” pubblicato ne “Il Corriere di Genova”, commentando le architetture di Gino Coppedè ebbe a scrivere: “Lo stile? Non c’è che una risposta…stile Coppedè. Tale lapidaria definizione, da allora, è entrata nel linguaggio corrente per definire lo stile originale di questo grande architetto.
Gino Coppedè nacque a Firenze il 26 settembre 1866 e nel 1881 frequentò la “Scuola Professionale di Arti Decorative Industriali” nella sua città, conseguendone il diploma. Nel periodo 1885-90 lavorò nella “Casa Artistica” del padre, Mariano, e nel 1891 si iscrisse all’Accademia di Belle Arti di Firenze dove si diplomò professore di Disegno architettonico. Insegnò, quindi, al “Regio Orfanotrofio Puccini” di Pistoia dal 1896 al 1897 fino a quando si trasferì a Genova con la famiglia, chiamato da Evan Mackenzie per il quale progetterà l’omonimo castello che si può considerare il suo primo successo architettonico. Gli anni dal 1900 al 1910 lo videro intensamente impegnato nella costruzione di ville e castelli a Genova e, il 30 giugno 1917, ottenne la libera docenza in “Architettura Generale” presso la R. Università di Pisa. Nel 1917-19 fu impegnato a Roma nella realizzazione del famoso Quartiere Coppedè e, a Messina, con edifici progettati per i fratelli Cerruti. Nominato professore residente “emerito” dell’”Accademia delle Arti del Disegno” di Firenze nel 1926, l’anno dopo, il 20 settembre, morì a Roma. È sepolto a Firenze nella tomba di famiglia al cimitero di San Miniato al Monte.
Gino Coppedè giunge a Messina nel 1913 e in quell’anno progetta e realizza il Palazzo Tremi, il Palazzo Bonanno, il Palazzo e la Villa Costarelli. Gli incarichi li ottiene dai fratelli Cerruti, finanzieri genovesi che a Messina avevano aperto un “banco” ed effettuato investimenti nell’edilizia. Nel 1913-14 progetta il suo capolavoro: Palazzo Tremi in via Risorgimento inteso anche “Palazzo del Gallo” perché un tempo vi si trovava un’antenna in ferro battuto con una banderuola che lo raffigurava. Per la ditta “Fratelli Cerruti” esegue dal 1915 al ’19 due edifici in via Garibaldi con esuberanti decorazioni: il Palazzo Magaudda e il Caseggiato Cerruti nei pressi del Municipio. L’ultima sua opera è il Palazzo allora sede del “Banco Cerruti”, del 1925. Con quest’architettura si chiude la parentesi messinese di Gino Coppedè: il grande architetto ha 59 anni e proprio a Messina realizza una delle sue ultimissime opere nella quale esemplifica ironicamente i suoi “divertimenti con l’architettura”, in una dimensione fabulatoria da gioco di fantastiche e visionarie “scatole di costruzione” da assemblare liberamente che lui, condannato a prematura morte fra due anni, conserva tenacemente nel suo animo rimasto, tutto sommato, profondamente bambino.