Nella sepoltura del figlio del Gran Conte Ruggero Normanno
A testimoniare la grande considerazione ed affetto che il Gran Conte Ruggero nutriva per Santa Maria di Mili, lo stesso anno della fondazione del Monastero, il 1090, vi seppelliva il figlio Giordano, morto in battaglia a Siracusa
“[…] nel territorio della città di Messina edificai un tempio di Santa Maria Vergine nel fiume nominato di Mili, ed ordinai un convento ad un prenominato abate Michele, acciò conducesse altri monaci che potesse trovare; e comandai dare ai medesimi tutte le cose necessarie alla comodità del monastero, e all’aggregazione fraterna, affinché potessero più facilmente pregare per tutto il genere cristiano, e per me peccatore […] Inoltre donai a loro un luogo sufficiente con la mia bolla, cioè: monti, valli, campi, alberi fruttiferi […] In quel territorio poi abbiamo veduti alcuni proprietari, ai quali ho comandato, poiché così fatte proprietà tengono e posseggono, dare servitori ed obbedienza a codesto Santo monastero, e cinque pernici in ciascun anno, e di vendere non abbiano licenza […] Questi luoghi annotati di sopra, e giurisdizione loro donai al detto abate […] e nessuno li impedisca e perturbi, e faccia molestia o alcuno di farvi fatta giurisdizione ma li conservi stabili e immutabili sino alla fine del mondo”. (diploma di fondazione del 1090 del Gran Conte Ruggero). Unici obblighi del monastero erano quelli di dare al Vescovo in visita due pani e una fiasca di vino e al Re verdura e frutta.
Sul portale d’ingresso al complesso monastico, un bassorilievo raffigura lo stemma dei Basiliani, la “colonna di fuoco” apparsa in visione al fondatore, San Basilio Magno di Cesarea in Cappadocia (329-379): “Stupito, fissò lo sguardo in quel luogo; vide una colonna di fuoco e sentì una voce che diceva questo è il grande Basilio”.
Nella vallata di Mili, comunque, esisteva già un cenobio sorto in epoca bizantina e andato distrutto durante la dominazione araba. Ad avvalorare ciò, nel “Codice Vaticano Greco” 2620, copiato a Capua da un certo Ciriaco sacerdote monaco, egli si sottoscrive: “Ciriaco prete e monaco originario di Mili, l’anno del mondo 6501” (cioè, 992-993). È probabile che questo Ciriaco abbia abbandonato il suo Cenobio, come tanti altri, obbligato ad emigrare nel continente durante l’invasione araba. Il complesso monastico veniva ultimato due anni dopo, nel 1092, esente dalla giurisdizione vescovile ed ha in vassallaggio gli abitanti della valle. Nel 1165 è egumeno Antonio, per commissione del quale il monaco Bartolomeo copia un codice liturgico. Nel 1364 muore l’egumeno Barnaba e, nel 1478, viene nominato abate commendatario il sovrano Alfonso d’Aragona in persona che, in tale veste, ha diritto di voto nel Parlamento siciliano. Nel 1542 l’imperatore Carlo V concede le rendite di Santa Maria di Mili all’Ospedale Grande di Messina e per altri tre secoli il monastero è, non soltanto culla dell’ascetismo basiliano, ma centro di cultura dove copisti e miniaturisti riproducono antichi codici liturgici.
Nel complesso monastico di Santa Maria di Mili si condensano le varie tendenze e correnti d’arte prevalentemente arabe e bizantine esistenti in Sicilia, in un’epoca cosmopolita quale fu quella normanna. Nella facciata risalta un pregevole portale marmoreo del 1511 di accesso alla chiesa con un bel bassorilievo raffigurante la Madonna col Bambino. L’interno dotato di cripta sotterranea con essiccatoio e colatoio, nella parte orientata ad est è caratterizzato da tre piccole absidi in mattoni, la centrale e le laterali, la “pròtesis” dove si preparavano il vino e il pane destinati al sacrificio della messa e il “diacònicon” dove avveniva la vestizione dei celebranti e si conservavano gli argenti sacri dove aleggia, palpabile, una mistica atmosfera medievale. La cupola di matrice araba sostenuta agli angoli da delicati archetti pensili sovrapposti, all’esterno si presenta con l’estradosso rosato sostenuta da un tamburo ottagonale e affiancata da altre due minori. Una preziosa trina degli archi ogivali in mattoni nel prospetto laterale che si rincorrono e si incrociano, armoniosamente, presso la cuspide, emergono in un contesto naturale di grande fascino e suggestione.